La storia dell’arte è ricca di misteriose pitture intrise di storia, filosofia e simboli di ogni genere e natura.
A volte poetiche, a volte affascinanti, a volte inquietanti sono entrate a far parte della nostra cultura ed i dibattiti che le circondano riempiono da decenni l’universo narrativo artistico.
Qual è l’identità della figura femminile rappresentata da Leonardo da Vinci nella “Gioconda”?
Alcuni la associano a Lisa Gherardini, nobildonna vicina alla sfera privata dell’artista, mentre altri studiosi sono pronti a giurare che si tratti di Leonardo stesso sotto mentite spoglie.
Per non parlare dell’irrisolto enigma relativo alla donna così ben rappresentata nella “Ragazza con l’orecchino di perla” di Jan Vermeer; si tratta della figlia dell’artista o della sua amante?
Abbiamo qui citato per esigenze di redazione solo due dei casi più famosi di opere che fanno ancora perdere la testa agli studiosi ed ai critici di mezzo mondo.
Ma perché vi stiamo parlando di tutto questo?
Ebbene, è da poco uscita la nuova collezione “Nozey Culture” e noi siamo qui per accompagnarvi nella scoperta della grafica dei nuovi drop. L’obiettivo è sempre quello di darvi spunti su cui riflettere e, magari, farvi scoprire qualche curiosità che non avevate ancora sentito.
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Oggi Nozey Magazine vi racconta la storia di una nobildonna cinquecentesca trasformatasi negli anni in un’umilissima schiava turca.
Ma procediamo con ordine.
Siamo a Parma nel 1532 e Francesco Mazzola è un ventinovenne dalla corporatura
minuta e dall’aspetto gentile, caratteristiche che gli valsero l’appellativo con cui lo si ricorda ancora oggi: Il Parmigianino.
In quel periodo il Parmigianino stava portando a termine una delle sue opere meglio riuscite; una tavola dipinta ad olio che ritraeva una giovane donna.
La donna in questione portava un’acconciatura molto in voga tra le nobili dell’epoca ed aveva anche un gioiello come fermaglio che ne esaltava ancor di più le agiate origini.
Sull’identità della figura femminile la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che si tratti di Veronica Gambara, una poetessa che il Parmigianino conobbe effettivamente nella città ducale.
Ma nessuno conosce il ritratto di Veronica Gambara del Parmigianino perché quest’opera è dal 1704 che viene catalogata e descritta come “La schiava turca”.
Le motivazioni dietro a questa nuova nominazione sono molteplici e variano dalla semplice e fallace intuizione visiva per sconfinare infine nei pregiudizi etnici del tempo.
L’acconciatura della donna ritratta veniva chiamata “balzo” ed era un copricapo formato da una rete di fili d’oro che, effettivamente, richiama alla mente i turbanti esotici dei turchi ottomani dell’epoca.
Ma ci sono numerose altre opere del ‘500 che ritraggono figure femminile con questo copricapo e per nessuna di esse è scattata l’associazione con donne medio-orientali.
Allora perché Veronica Gambara è diventata una schiava turca?
Il Parmigianino aveva adottato da poco uno stile artistico impenetrabile, l’artista era afflitto da problemi esistenziali e non voleva o non riusciva più a trasmettere alle sue opere connotazioni storiche, etiche, religiose e demografiche tant’è vero che non si riesce nemmeno a comprendere bene quale sia l’età della donna ritratta.
In quest’opera l’artista voleva solo rappresentare il Bello come valore assoluto e cognitivo. Basti osservare lo sguardo fisso sull’osservatore della donna che trasmette secondo Vasari una maliziosa sensualità.
Questa mancanza di dettagli immediatamente osservabili ha permesso agli osservatori del tempo di mal interpretare l’opera affibbiandole il titolo di “Schiava Turca”.
Ok, il turbante poteva richiamare una dimensione esotica, ma quello che non si riesce a capire è perché la donna non potesse essere creduta una ricca nobildonna turca visti e considerati gli abiti e la location sfarzosa.
Qui il nostro discorso entra dunque nella sfera dei pregiudizi dell’epoca; nel Cinquecento e nei secoli successivi i turchi ottomani erano considerati tra i più grandi importatori di schiavi del mondo.
Si stima che nel 1700 a Costantinopoli (l’odierna Istanbul) ci fosse uno schiavo ogni 5 abitanti.
Ancora nel 1908 in Turchia le donne venivano vendute come schiave dai turchi che le utilizzavano, è proprio il termine giusto, per i loro harem, una sorta di Bunga Bunga ante litteram.
Gli europei occidentali erano perfettamente a conoscenza della propensione turca allo schiavismo, soprattutto delle donne ed ecco perché nel corso dei secoli una nobildonna con un copricapo sfarzoso è stata confusa con una schiava turca.
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